La Calvanina

La Calvana, localmente chiamata Calvanina, è una razza bovina minore italiana, autoctona della Toscana, allevata principalmente sulle aree collinari e montuose del Appennino Tosco-Emiliano tra le province di Firenze e Prato, in particolare sui Monti della Calvana del cui territorio è originaria. Negli ultimi anni bovini di razza Calvana sono presenti anche in alcuni allevamenti delle province di Pistoia e di Siena, al di fuori dell’areale primario.

Mentre in passato i bovini di razza Calvana venivano utilizzati prevalentemente per lavoro, nel corso degli ultimi decenni è stata riscoperta come una razza di buon adattamento al pascolo da cui è possibile produrre carni pregiate.

Alcuni esemplari al pascolo sul Monte Calvana.

La razza Calvana risulta imparentata con la Chianina, seppur caratterizzata da dimensioni inferiori a quest’ultima.

I bovini di razza Calvana presentano un mantello bianco con mucose pigmentate nere, estremità delle corne ed unghioni di colore nero, piedi piccoli con zoccoli robusti e masse muscolari molto sviluppate. Il peso delle vacche è generalmente compreso tra 650 e 750 kg, mentre i tori si attestano tra i 950 e i 1.100 kg. L’altezza al garrese delle vacche varia tra i 130 e i 150 cm, mentre per i tori è tra 150 e 165 cm. Ulteriori informazioni tecniche sulla morfologia – e non solo – possono essere recuperate alla pagina dedicata alla Calvana del Germoplasma della Toscana

La carne di razza Calvana si presenta più muscolosa e meno grassa rispetto alla Chianina.

I-BEEF

La razza Calvana è oggetto di studi nell’ambito del progetto I-BEEF (Italian Biodiversity Environment Efficiency Fitness) finanziato nell’ambito della misura 10.2 del Programma di Sviluppo Rurale Nazionale dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Il progetto I-BEEF, relativo al comparto produttivo “Bovini da Carne”, è presentato congiuntamente dalle tre Associazioni Nazionali Allevatori presenti sul territorio nazionale e che rappresentano la razza Piemontese (ANABORAPI), le razze Chianina, Marchigiana, Romagnola, Maremmana e Podolica (ANABIC) e le razze Limousine e Charolaise (ANACLI). La gestione delle attività di progetto per i Tipi Genetici Autoctoni (TGA) da carne è di competenza di ANACLI che si avvale della collaborazione tecnico scientifica dell’Università degli Studi di Firenze (Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali – DAGRI).

L’obiettivo del progetto per i TGA da carne, tra i quali rientra la razza Calvana (insieme a Mucca Pisana, Pontremolese, Sarda, Sardo Bruna e Sardo Modicana), è la caratterizzazione fenotipica e genetica funzionale alla conservazione della biodiversita. La razza viene caratterizzata dal punto di vista fenotipico (tramite una valutazione morfologica dei caratteri muscolosita’, scheletro, condizione corporea, temperamento, locomozione e apparato mammario) e dal punto di vista genetico mediante analisi dei polimorfismi SNP. Al progetto è collegato lo svolgimento di una tesi di dottorato di ricerca dal titolo “Conservation status, genetic diversity and selection signatures of Italian autochthonous beef breeds utilising pedigree and genomic information“.

Storia della Calvana

Origini paletnologiche

La conformazione esteriore della Calvana denuncia una sicura appartenenza al “ceppo podolico” e generalmente si ammette una derivazione della razza da incrocio tra Chianina e bovini podolici presenti nella zona, confortati anche dalle vicende storiche che hanno accompagnato l’origine di molte razze italiane.

Negli anni ’30 Galeotti proponeva un’origine alto-medievale per la razza, risultato della fusione di bestiame di razza Chianina, autoctono da almeno 20 secoli in gran parte dell’Umbria e della Toscana, con bestiame macrocero di stirpe podolica arrivato in Italia durante le invasioni barbariche. Questa tesi è ancora accettabile, tranne che per il fatto che il bestiame “podolico” presente in Toscana, come in altre regioni italiane, non era semplicemente il risultato delle ondate migratorie avvenute dopo la caduta dell’impero romano, essendo i bovini macroceri già presenti da millenni nel nostro paese.

Areale di distribuzione della Calvana nel 1930

Galeotti, basandosi su testimonianze del tempo, aggiungeva anche contributi “più moderni” della Chianina, che sarebbe stata utilizzata a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo sulle popolazioni locali preesistenti, a loro volta derivate dagli antichi incroci tra Chianina e Podolica. Questa pratica fu saltuariamente adottata anche nei primi anni del XX secolo, in particolare per il miglioramento del bestiame calvano delle zone più favorevoli di fondovalle; si voleva infatti ottenere una popolazione bovina “ingentilita”, che riunisse la robustezza, l’attitudine al lavoro e la resistenza del bestiame locale, con le spiccate attitudini alla produzione della carne tipiche della Chianina. La genesi della Calvana prevede quindi un doppio intervento della Chianina: il primo, medievale o addirittura precedente, sulla preesistente popolazione macrocera (impropriamente definita podolica), con la produzione di quella che potremmo definire Calvana primitiva, il secondo, moderno, che ha come risultato l’aumento di geni chianini sulla Calvana primitiva.

I bovini di razza Calvana, mesomorfi e ben proporzionati, hanno tronco relativamente corto, ossatura leggera, articolazioni robuste e masse muscolari ben sviluppate, caratteristiche di un animale a spiccate attitudini dinamiche.

Nonostante che la Calvana presenti un indiscutibile somiglianza con la Chianina, a causa del colore del mantello e della cute pigmentata, alcuni caratteri, compresi il peso vivo e l’altezza al garrese, conformemente alle sue origini paletnologiche la avvicinano ai progenitori, erroneamente definiti podolici, di altre razze dell’Italia centro-settentrionale.

Attitudini produttive

Per quanto concerne questa attitudine è necessario premettere che il lavoro animale in Italia, soprattutto nelle aree montuose interne del centro e del meridione, nella prima metà del XX secolo aveva una grande importanza per l’agricoltura data la scarsa meccanizzazione delle campagne; peraltro gran parte delle razze autoctone allevate erano a duplice o triplice attitudine (lavoro e carne, o lavoro, carne e latte) e tra queste prevale da sempre l’attitudine dinamica.

Bestiame di razza Calvana utilizzato per il lavoro

Le vacche Calvane hanno sempre dimostrato di possedere latte a sufficienza per l’allevamento del proprio vitello anche quando sottoposte a lavoro intenso. Talvolta si riscontravano femmine che, anche dopo 5-6 mesi di lattazione, fornivano una quantità discreta di latte, tanto che venivano munte con regolarità dai proprietari.

La Calvana nel XX secolo

Estratto da “La Razza Bovina Calvana” di Alessandro Giorgietti, una pubblicazione della Regione Toscana (2009)

Il nome della razza, in realtà nella forma di “bestiame Calvanino”, comparve per la prima volta alla 2° Mostra Zootecnica di Prato del 1902, durante la quale i capi esposti non fecero una buona impressione ai visitatori, poiché si presentavano visibilmente denutriti e con carenze nello sviluppo scheletrico, ma soprattutto perché sviliti nel confronto con i maestosi capi di Chianina presenti alla stessa manifestazione.

Nei primi anni del secolo scorso altri autori parlano dei bovini Calvani come di animali appartenenti ad una varietà locale della razza Chianina presente nella zona di Prato, caratterizzata da mole e peso ridotti, con spiccata attitudine al lavoro e una buona attitudine alla produzione della carne; questi bovini, dotati di grande rusticità e resistenza, si consideravano capaci, a differenza della più produttiva Chianina, di vivere in condizioni ambientali difficili come quelle della montagna pratese e, in virtù di queste caratteristiche, si auspicava uno sviluppo demografico e un miglioramento delle condizioni di allevamento.

Nel 1915 Balducci aveva indirizzato un appello agli allevatori del Pratese affinché si impegnassero maggiormente per una: intensificazione della produzione della carne utilizzando la locale razza Calvana in purezza e aveva lanciato l’idea di istituire un “Sindacato” di allevamento avente la finalità di promuovere la razza; questa idea prese corpo soltanto nel 1919, a guerra finita, con la nascita del Consorzio Zootecnico di Prato.

Gli anni di sviluppo della razza

Nel 1921 cominciò a funzionare, anche se non formalizzato da apposita legislazione nazionale, il Libro genealogico della razza Calvana, sotto la direzione del Consorzio Zootecnico di Prato ed iniziò la registrazione dei primi soggetti meritevoli; contemporaneamente vennero potenziate le già numerose stazioni di monta nel territorio pratese. I risultati dell’impegno del Consorzio, che pure operava con scarsi mezzi finanziari,furono lusinghieri: tutti i capi di Calvana Esposti nel 1925 alla Mostra del bestiame di Galceti (Prato) ebbero ottimi giudizi in merito alla conformazione.

Marinello, considerato il capostipite.

Durante tutti gli anni ‘20 e fino a metà degli anni ‘30 il Consorzio Zootecnico di Prato e l’Istituto di Zootecnica dell’Università degli Studi di Firenze lavorarono per migliorare le condizioni di allevamento e ottenere sempre migliori performance produttive dalla Calvana.

Nel 1931, nell’ambito dei provvedimenti presi dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste per il coordinamento delle varie iniziative zootecniche a livello nazionale,venne. costituita. anche in Toscana una commissione di esperti della Provincia Di Firenze per definire “lo stato attuale del bestiame bovino da lavoro e da carne nella Provincia di Firenze e le direttive per il suo miglioramento, per l’organizzazione degli allevatori e per l’impianto e il funzionamento dei libri genealogici”.

La commissione decise di ratificare il libro genealogico della sottorazza Calvana e di impiantare quelli provinciali della Chianina, allora divisa nelle due varietà del Valdarno e della Val di Chiana; per la Chianina del Valdarno vennero impiantati i libri provinciali di Firenze e di Pisa e perla Chianina della Val di Chiana quelli delle province di Arezzo e Siena.

L’idea di una razza Calvana Autonoma dalla Chianina ebbe però vita breve. Infatti già due anni dopo, probabilmente a fronte di scarsità di fondi da destinare al funzionamento di due i libri genealogici, con il Decreto Ministeriale del 7 agosto 1935 venivano riuniti in un unico Libro Genealogico tutti ceppi di Chianina esistenti a livello nazionale e la Calvana finì per essere considerata uno di questi.

Era il periodo di massima numerosità mai raggiunta dalla Calvana, con circa 30.000 capi, tra i quali un gran numero di soggetti erano più che pregevoli. Purtroppo le attività selettive e di miglioramento non erano state in grado, nel volgere di pochi anni, di marcare a sufficienza le caratteristiche differenziali che la distinguevano dalla Chianina; non fu possibile mantenere un libro genealogico autonomo e in questo modo cominciò per la razza un lento ma inesorabile declino.

Il Declino

A partire dal momento dell’inclusione nel libro genealogico della razza Chianina, la Calvana seguì le sorti di questa sul piano normativo, ma di fatto venne molto trascurata già a partire dagli anni antecedenti la seconda guerra mondiale.

Nel dopoguerra la Calvana, che già risentiva di anni di abbandono e dispersione del germoplasma, soffrì soprattutto della soppressione del Consorzio Zootecnico Di Prato che, quale emanazione del precedente regime, venne abolito per recidere il legame con il passato. Così facendo purtroppo si distrusse un’istituzione che negli anni era diventata depositaria delle esperienze e motore delle iniziative a favore della razza, senza peraltro individuare un ente che potesse sostituirlo.

Nel 1950 il patrimonio bovino della Calvana ammontava ancora a ca. 14.000 capi, e pertanto ci sarebbe stata una numerosità sufficiente per procedere al lavoro di selezione e rilanciare la razza, convertendo le sue attitudini verso la produzione della carne. In effetti la riattivazione del libro genealogico venne chiesta con forza nel 1948, purtroppo senza successo.

La razza Calvana invece, che pur fino al 1960 veniva contata tra le varietà della razza Chianina, e quindi si può presumere che avesse ancora una consistenza numerica di una certa importanza(dati certi non sono.disponibili), venne sempre più trascurata.

Nel trentennio successivo alla guerra l’areale della Calvana si restringe progressivamente e la razza scomparve dalle zone di pianura della Provincia di Firenze per ritirarsi nelle zone più difficili della montagna pratese, le uniche dove l’allevamento sembrava avere, in quegli anni, ancora un senso.

In concomitanza con il massiccio esodo rurale favorito dal processo di industrializzazione e inurbamento, molto pronunciato proprio nelle zone marginali di montagna, e in particolare negli anni successivi all’emanazione della legge 126 del 1963, ci furono azioni di raccolta e concentrazione dei migliori capi di Calvana superstiti da parte dei pochi allevatori che tentavano di resistere al trend demografico negativo che aveva investito la razza.

Un toro di razza Calvana (CNR, 1983)

In quelle condizioni il declino della razza,che si avviava in quegli anni pericolosamente verso l’estinzione, raggiungendo il minimo storico con 61 capi nel 1983, diventava inevitabile.

Le speranze di rinascita

Proprio quando tutto sembrava perduto, negli anni ’80 cominciarono a manifestarsi segnali per un’inversione di tendenza. In cinquanta anni, nell’attività zootecnica, si era registrata una vera e propria rivoluzione, che aveva determinato un profondo cambiamento della composizione etnica delle varie specie, con la scomparsa di tipi genetici che avevano caratterizzato l’agricoltura e spesso la stessa identità della civiltà contadina del passato. ll passaggio da un’economia pressoché di autoconsumo ad un’economia di mercato, la specializzazione degli allevamenti, l’impiego crescente delle innovazioni tecnologiche e la derivante l’area capitalizzazione aziendale, determinò però il delinearsi di due indirizzi, uno dei quali particolarmente interessante anche per la Calvana:

  • l’allevamento intensivo nelle zone ad elevato valore del capitale fondiario dove, in aziende tecnologicamente evolute e con razze ad elevata specializzazione attitudinale, è possibile massimizzare la produzione degli animali del lavoro umano;
  • l’allevamento estensivo di razze autoctone nelle aree marginali, con modesto ricorso ai mezzi tecnici.

Anche se nel quadro del panorama zootecnico nazionale il peso del primo è nettamente superiore a quello del secondo,ciò nondimeno fin dagli anni ‘90 si aprono interessanti prospettive per mercati di nicchia di elevata qualità.  

Per ciò che concerne la conservazione in situ, AIA (Associazione Italiana Allevatori), quale agenzia deputata alla promozione della zootecnia in Italia, è stata incaricata già agli inizi degli anni ’80 di gestire “sul campo”, sotto la supervisione dell’allora Ministero dell’Agricoltura e Foreste e, tramite la rete delle sue Associazioni Provinciali (APA), la salvaguardia dei genotipi a rischio di estinzione. A tale scopo nel 1985, con D.M. del 19.9.1985, l’AIA istituì il Registro Anagrafico delle popolazioni bovine autoctone e gruppi etnici a limitata diffusione (R.A.).

il Registro Anagrafico delle popolazioni bovine autoctone e dei gruppi etnici a limitata diffusione ha il pieno valore giuridico di un libro genealogico ma ne differisce perché ha solo lo scopo di censire le popolazione afferenti ad una razza e non prevede quindi alcuna attività di controlli funzionali per indirizzare il lavoro di selezione. L’adesione al registro anagrafico è volontaria e può avvenire presso l’APA competente per territorio in qualsiasi momento se l’animale che si intende iscrivere è riconosciuto come appartenente alla razza 0 popolazione (giovane o adulto) ed è stato sottoposto a controllo sanitario per la tubercolosi, la brucellosi e la leucosi. Se l’iscrizione viene giudicata idonea I’APA, sentita l’AIA, può effettuare la valutazione morfologica sui soggetti in esame. Infine gli animali approvati devono essere resi riconoscibili mediante marca o tatuaggio auricolare.

Testi e citazioni tratti da “La razza bovina Calvana” – Alessandro Giorgetti. Una pubblicazione ad opera di Regione Toscana, 2009

Immagini tratte da “Analisi della biodiversità della razza bovina Calvana con il metodo di indagine molecolare AFLP” – Massimo Moretti . Tesi di Dottorato di Ricerca in Agrobiotecnologie per le Produzioni Tropicali, XIV ciclo (1998-2001).